Entriamo nella sacrestia. Dal muro della parete nord uno sguardo che ci raggiunge da un lontano passato, tradisce una storia di fede e di arte che, sotto la coltre dei secoli, attende di essere riscoperta e raccontata. L’immagine di San Cristoforo è fino ora l’unica che è possibile riconoscere sotto l’intonaco che, nel corso del tempo ha coperto gli affreschi in quella che è stata la prima chiesa parrocchiale della Val Cannobina.
Il dipinto, attribuito al Maestro della Madonna di Re, rappresenta il santo universalmente invocato quale protettore dei viandanti, un tempo numerosi, lungo la via Borromea che, com’è noto, passa proprio accanto alla chiesa di San Materno.
Cristoforo visse in Oriente fra il III e il IV secolo. Morì martire in una delle persecuzioni contro le locali comunità cristiane.
Reprobo – questo il suo nome – era un uomo di grande e robusta corporatura. Nel corso di una vita avventurosa e turbolenta decise di mettere a disposizione del prossimo la sua prestanza, stabilendosi sulla riva di un fiume e aiutando i viandanti ad attraversarlo. Un giorno un bambino gli chiese di essere traghettato all’altra riva. Cristoforo lo caricò, ma man mano che avanzava nel fiume, il peso del fanciullo si faceva sempre maggiore. Giunto a fatica alla sponda, il bambino si rivelò come il Cristo che recava sulle sue spalle tutto il peso del mondo. Per convincerlo della sua identità, il piccolo invitò il traghettatore a piantare nel terreno il suo bastone. Il giorno seguente, con gran stupore di Cristoforo, il bastone germinò foglie e produsse datteri come una palma.
Questa è la storia di un uomo che ha posto le sue doti di forza e coraggio a servizio del prossimo e, quindi, di Dio. Si comprende inoltre l’iconografia del santo, inconfondibile per le sue dimensioni e la presenza di Gesù Bambino. Dipingere San Cristoforo in figure di grandi proporzioni, non è solo derivante dalla sua leggenda ma anche da una credenza, popolarmente molto diffusa nel medioevo e fino alle soglie dell’età moderna, secondo la quale chi avesse visto la sua immagine non sarebbe deceduto in quel giorno di mala morte, cioè di morte improvvisa. Questo giustifica la sua presenza generalmente all’esterno degli edifici, sia sacri sia civili, lungo vie di transito o in prossimità di guadi e ponti, sempre di grandi dimensioni per poter essere ben visibile, anche da lontano.
Questa è, per ora, una delle tante storie che si possono raccontare osservando le antiche mura della chiesa di Orasso: quasi un invito per procedere nella lodevole iniziativa di recuperare le superfici pittoriche murali, per far sì che volti e gli sguardi di un prezioso e ricco passato tornino a rivivere.
Recuperiamo insieme la bellezza, la cultura e la storia del nostro passato, a vantaggio del nostro presente e delle generazioni future: sostieni anche tu la raccolta fondi per il completamento del restauro.