[POST] Donne cannobine in Vigezzo: non solo mele…

[POST FACEBOOK DEL 19 MARZO 2021]

La fula di Villette
A Villette, presso il Museo di arte contadina “La cà di Feman da la Piazza” è conservato un modello di fula o gualchiera, realizzato da Benito Bonzani, perfettamente funzionante.
La fula era un dispositivo meccanico azionato idraulicamente impiegato per la follatura della mezzalana, per ricavarne un tessuto finale di panno, più compatto, denso e impermeabile dell'originale. Cenni tecnici su tali strumenti sono riportati in un volumetto edito dal Gruppo Archeologico di Mergozzo. Di questo elemento caratterizzante il museo, la Pro Loco villettese pubblicò nel 1989 un volumetto sull'argomento dal titolo: Cant as santiva picà la fula. Titolo magari nostalgico, ma che bene evidenzia il fatto che quando questa macchina funzionava batteva rumorosamente dei mazzuoli di legno. Tale ritmico rumore si udiva in buona parte del paese.

Cenni storici sulla Fula
In Val Vigezzo esisteva una sola fula a Crana, di proprietà Ceroni, quando Giulio Bonzani, geniale villettese possedeva un mulino da macina posto in fondo al paese sulla sponda sinistra del Rio Valle di Casa gestito in precedenza dal padre Lorenzo. Quando negli anni '30 del '900 volle trasformare questo mulino da macina a gualchiera non gli fu concesso di copiare il modello dal Ceroni, ma trovò aiuto inaspettato in Valle Anzasca, dove un vecchio mugnaio gli fornì elementi per la meccanica della fula e informazioni per la lavorazione del tessuto. E così diede vita alla fula di Villette. Allora lo” spionaggio industriale” era temuto dagli artigiani i quali erano ben gelosi delle loro conquiste. Così i Bonzani riproducevano in proprio i pezzi del meccanismo che si guastavano e dovevano venir sostituiti, quantunque quella fula fosse l'unica funzionante rimasta in valle, poiché successe che quella di Crana guastatasi rimase presto in disuso.

La follatura
La follatura era realizzata da martelli di legno mossi dalla ruota idraulica, che ricadevano alternativamente all'interno di un contenitore aperto in alto (bozza) nel quale il Bonzani poneva ripiegato a mò di fisarmonica, il tessuto vergine (tarzò o mezzalana) perché subisse il processo di follatura. Si utilizzava una soluzione di acqua e con sapone speciale “fatto venire apposta da Milano”. Il tessuto risultava così più compatto, di densità e spessore maggiori, ma con lunghezza e larghezza minori dell'originale a causa della compressione subita. ed alcune clienti si lamentavano delle ridotte dimensioni pensando ad una frode “da mugnaio”. Dopo la follatura il tessuto veniva sciacquato nel vicino ruscello, quindi fatto bollire per tingerlo ed infine asciugato. Tempo dell'operazione 6/7 ore per un tessuto da 4 metri lineari largo 50 cm. Fruitrici del servizio di follatura erano per lo più le donne della Val Cannobina (Cursolo, Orasso, Spoccia) e della Valle, che raggiungevano Villette a piedi col tessuto nel gerlo portato a dorso. Visti i lunghi tempi di attesa, le donne bivaccavano nei pressi del mulino rispettando un ordine progressivo del servizio costituito da un pezzo di legno con indicato il numero e il nome.

Conclusione
Questa fula funzionò ancora per alcuni anni dopo la guerra, ma poi come altre cose finì per seguire il destino del progresso industriale, un'evoluzione che aprì nel settore della lavorazione tessile un'infinita varietà di tecnologie mutando economie e scenari.

 

Testi, foto e disegni del mulino di Gim Bonzani (19 marzo 2021)

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